Scritto e interpretato da: Mario Massarotti
Sirene, bagliori rossastri alternati a lampi, frastuoni, incursioni aeree, macerie, distruzione, buio, morte. Qual è la verità? Quali sono gli effetti? Chi sono i responsabili? Quale la causa banale? Chi ha firmato in mio nome!? I colpi trafiggono civili, squarciano vite comuni, identiche alla mia. E poi, sempre dopo, quasi tutto “si sistema” al tavolo delle conferenze, come se nulla fosse accaduto. Con quale soluzione?
Edizione straordinaria in tv, l’audience si alza, il confronto è di quelli forti: esperti ed opinionisti hanno finalmente qualcosa di cui parlare sfoggiando la loro grammatica forbita. In un’altra occasione si parlerà di “tregua”, di quel “cessate il fuoco” che tanto va di moda nei tempi moderni, ma è una decisione con nuovi costi, nelle città, nei miseri villaggi, negli ospedali e nel bilancio dei Paesi amici, che tanto generosamente pensano bene a fornire altre armi.
E’ ancora lecito nel 2024 parlare di pace piuttosto che di assurdità dei conflitti? Si dirà sbrigativamente che “si dichiara guerra perché non si è riusciti a risolvere problemi politici ed economici”. Marco è partito, Frank non ha più scritto, si dice che Géràrd è ferito, si dice, nei prossimi giorni ne sapremo di più. Quanti invalidi e mutilati fa la guerra! Il reduce senza una gamba dirà: “Cribbio, ma non sono bastati due conflitti mondiali in solo secolo per evitare la stessa storia, che cambia nella forma ma non nell’ignorante sostanza!” Il sovrano si trasforma, tira fuori il peggio di sé e sceglie la strada più congeniale al proprio ego piuttosto che conforme al buon senso.
Breve storia di due giovani soldati: hanno lo stesso volto del terrore, avanzano, sporchi, spaventati e affamati in prima linea. Devono solo uccidere. Tra una carneficina e l’altra si confrontano, parlano. Ricordano che sanno anche ragionare, ricorrere al pensiero. Utilizzano quel che resta dell’intelletto o dell’intelligenza, sottomessa agli ufficiali, percossa dai decreti bellici, presa per il culo compatrioti con le bretelle che nel comfort delle loro case dicono che “vale la pena resistere” e vincere, che diamine! Uno dei due ragazzi si rivolge all’altro: “Vedi, ci sono alcune domande che mi pongo dall’inizio di questa storia: “che ne sarà di noi” forse è la meno peggiore, quella più preoccupante è per cosa sto facendo tutto questo…” Andate avanti e combattete! Urlerebbe pieno d’orgoglio il gigante malato di potere che comanda la nazione, legittimato alla violenza dai suoi generali.
L’unico deterrente alla guerra dovrebbe essere quella che chiamiamo “memoria”, ma tra memoria e oblio e tra oblio e ignoranza il confine pare sottilissimo. Poi ci sono i paradossi della guerra, legati alla cattiveria dell’uomo, forse innata: ogni attore coinvolto, di giorno difendono i deboli e la notte bruciano case e violentano donne. Se poi la cattiveria produce perfino errori, sono guai seri: ospedali bombardati, reporter dilaniati, ospizi violati, bambini trucidati.
Altra breve storia: in mezzo a quella fila di profughi sfollati, lungo l’interminabile strada sterrata, l’anziana Elena si rivolge alla nipotina rimasta orfana: “Non ho più le forze”. Tanto la guerra accade sempre altrove, chissenefrega! Ma cos’è il seme dell’odio? Esso insinua nell’educazione dei figli, nel comportamento, nella convivenza tra razze e culture diverse. “Ma da che parte stai?” Questa domanda risuona così comune tra la gente e manifesta il bisogno di schierarsi, di opporsi e di avere ragione ad ogni costo: “quello guadagna più di me… guarda st’imbecille se mi deve superare con quel trabiccolo… non conosci il lato oscuro di quel tale, adesso ti dico cosa ho sentito… ma tu guarda se per riuscire a parcheggiare uno deve essere handicappato! Nessuno dirà mai di avere il piede in fallo o che gli altri hanno un solo punto a favore. Si dirige lo sguardo verso chi “ha” e non verso chi “è”. Tantomeno il proprio essere è più importante delle altre cose. Non c’è nessuna conclusione ragionevole, e pur di perderci ancora di più si è disposti a combattere.
La guerra. Ce l’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, nel condominio, in ufficio, per strada: alziamo la voce, ci guardiamo in cagnesco, parliamo poco e pretendiamo troppo. Ci preoccupiamo, quando passano quelle notizie in tv, noi che siamo anime pure, angeli scesi in terra, professori che a scuola insegnano a studiare le battaglie, non la guerra. Né la pace. Quanto ai bambini, la società li educa a perdere se stessi e a diventare assurdi, e così esseri normali. Uomini normali hanno ucciso forse cento milioni di altri uomini normali negli ultimi cinquant’anni.
E in questo confine, tra il normale e ciò che non lo è, dovremmo recuperare la dimensione della pace, della creatività e anche della follia, quella buona, che ci fa amare ciò che abbiamo e ciò che siamo, guardandoci dentro, baciando la terra, quella profumata di fiori e non insanguinata da perdite innocenti.